Campi rom a Napoli, come e dove vivono i figli dell’abbandono
Figli dell’abbandono è il titolo del report con cui l’Associazione 21 Luglio ha censito e analizzato le condizioni di vita dei rom a Napoli, all’interno degli insediamenti formali e informali. Dallo studio emerge un quadro allarmante: la Città Metropolitana di Napoli è per i rom un luogo di segregazione e precarietà, soprattutto abitativa. E la mancanza di proposte concrete di superamento dei campi rende il futuro ancora più preoccupante.
All’interno del panorama italiano, la Città Metropolitana di Napoli (CMN), erede della precedente Provincia di Napoli, risulta essere l’area più complessa e problematica per quanto riguarda la cosiddetta questione rom. Infatti, in questo vasto territorio, che si estende per oltre 1170 km² e ricomprende ben 92 comuni, si registrano le peggiori condizioni abitative a cui è soggetta la comunità rom. A Napoli e nel suo hinterland c’è il tasso più alto di persone di etnia rom che vivono in emergenza abitativa (3000 individui, pari allo 0,11% sul totale degli abitanti della CMN, contro un tasso nazionale dello 0,03%). Ed è sempre qui che negli anni sono sorte e si sono sviluppate le più grandi baraccopoli d’Italia.
Le criticità dell’area, riscontrante dall’Associazione 21 luglio e messe nero su bianco nel rapporto “Figli dell’abbandono”, sono molteplici:
- un’amministrazione pubblica paralizzata che impedisce ogni azione di tipo strutturale;
- una mancanza di visione politica;
- una comunità rom in condizioni particolarmente deprivate;
- un associazionismo schiacciato sulla mera emergenza;
- una forte presenza della criminalità organizzata, soprattutto rispetto al traffico di rifiuti.
Difficoltà che non fanno presagire nulla di buono per il futuro, laddove invece ci sarebbe bisogno di risposte urgenti per ridare dignità a tante donne, uomini e bambini.
Quanti rom ci sono a Napoli?
Il primo passo da compiere è senza dubbio quello di scattare una fotografia attendibile della presenza rom nel napoletano. Ancora oggi, infatti, è molto difficile rispondere con esattezza alla domanda “quanti rom ci sono a Napoli?”.
Nel censimento del 2008, organizzato ed eseguito da prefetture, questure e Croce Rossa Italiana, sono state registrate 2.754 persone (di cui 1.419 minori) nei “campi rom” della zona. Fin da principio, tale dato si è però rivelato non affidabile. A partire da tali considerazioni, nel 2016 Francesca Saudino, in un articolo dedicato alla condizione abitativa dei rom nell’area di Napoli, stimava tra le 3.000 e le 4.000 le persone residenti nei diversi insediamenti, formali e informali, del territorio. In linea con questa proiezione, il rapporto Gli insediamenti rom, sinti e caminanti in Italia di Cittalia, pubblicato nel dicembre 2016, ha stimato una forbice tra 2.411 e 4.026 di persone ascrivibili all’universo rom negli insediamenti della Città metropolitana.
Perfettamente all’interno di questa forbice si collocano anche i dati dell’Associazione 21 luglio, che indicano la presenza di 2.900 persone di etnia rom (56% ex Jugoslavia e 44% cittadini rumeni) in grave emergenza abitativa a Napoli e nel territorio circostante.
Breve storia della presenza rom a Napoli
La fotografia attuale della presenza rom a Napoli è però solo l’ultimo anello di una storia lunga e complessa. I primi rom, infatti, giunsero in Italia intorno al XV secolo, stabilendosi in diverse zone, tra cui proprio Napoli e il Sud Italia. Nacque così la comunità di quelli che in dialetto locale vengono detti napulengre, cioè i rom originari di Napoli, che si sono distinti per un’integrazione profonda e un contributo significativo alla cultura partenopea. Nei secoli, i napulengre hanno sviluppato una propria identità culturale, distinta da altre comunità rom italiane e internazionali. Da sempre, hanno coltivato abilità artigianali e artistiche che li hanno resi noti e rispettati in città. Un ruolo importante è stato ricoperto dall’artigianato del ferro battuto, un mestiere che i napulengre padroneggiano da generazioni e che ha contribuito a mantenere viva questa tradizione nella cultura napoletana.
Venendo a periodi storici più recenti, negli anni ‘80 e ‘90, Napoli e l’Italia conobbero un forte flusso migratorio di rom dall’ex Jugoslavia, in fuga dalla guerra. Molti si stabilirono in campi. Proprio quegli insediamenti che oggi, come detto, sono caratterizzati da condizioni di vita precarie, senza servizi essenziali come acqua, elettricità e fognature. Condizioni che tuttora generano tensioni sociali e rendono l’integrazione. Infine, nei primi anni Duemila, agli arrivi dalla Bosnia, dalla Serbia e dal Montenegro, si è aggiunto un flusso consistente di rom rumeni, favorito dall’avvio delle procedure di ingresso della Romania nell’Unione Europea.
I campi rom di Napoli: quanti sono e dove sono
Ma dove vivono effettivamente questi rom? All’interno della Città Metropolitana di Napoli è possibile rilevare la presenza di molteplici insediamenti rom, formali e informali, e di un centro di raccolta.
Gli insediamenti formali, ovvero riconosciuti dalle autorità, sono 8 in 5 diversi comuni:
- Napoli (Secondigliano, via del Riposo, Cupa Perillo)
- Afragola (Salicelle)
- Casoria (Cantariello)
- Caivano (via delle Cinque Vie)
- Giugliano in Campania (Zona ASI, via Carrafiello)
Gli insediamenti informali, ovvero quegli agglomerati abitativi sorti spontaneamente attraverso l’occupazione senza titolo di territori o immobili pubblici o privati, risultano invece essere 12 all’interno dei territori di 2 comuni:
- Napoli (tre in zona Gianturco, cinque in zona Barra e due in località Pianura)
- Giugliano in Campania (Circumvallazione Qualiano).
Nel Comune di Napoli, poi, c’è anche il centro di raccolta, cioè un centro di accoglienza monoetnica, in località Soccavo.
Infine, sempre a Napoli, si registra la presenza di persone di etnia rom su terreni presi in affitto (località Parete), come abitanti dei bassi (Forcella e Rione Sanità) e come occupanti di immobili di edilizia residenziale pubblica (Vela Rossa).
La (non) integrazione dei rom a Napoli, tra segregazione e sgomberi
In tutti gli insediamenti formali e informali, l’Associazione 21 luglio ha rilevato gravi criticità relative alle condizioni di vita dei rom. Le più importanti riguardano senza dubbio le condizioni igienico sanitarie, rese precarie dall’assenza di un sufficiente accesso all’acqua, che rende scarsi rispetto al fabbisogno i servizi igienico sanitari a disposizione (che spesso risultano anche non funzionanti). Spesso, poi, le baracche in cui vivono i rom si trovano a pochi metri da cumoli di rifiuti, che non possono che esacerbare la situazione. Infine, contribuiscono senza dubbio a peggiorare le condizioni di vita anche la distanza dai servizi essenziali e i problemi di registrazione anagrafica e regolarizzazione documentale (che interferiscono, ad esempi, con il diritto alla salute o all’istruzione).
Superare i campi rom e garantire a tutte queste persone un abitare dignitoso è quindi una priorità. Guardano all’azione amministrativa degli ultimi 25 anni, però, questa priorità sembra molto lontana dall’essere realizzata.
La cronistoria sintetica degli interventi messi in campo dal Comune di Napoli rende evidente questa difficoltà.
- 2000. A Secondigliano nasce il “Villaggio della solidarietà”, costituito da 92 container con servizi igienici esterni, fornitura d’acqua, allaccio di gas ed elettricità. Il campo è pensato per accogliere i rom che erano presenti nell’insediamento di via Zuccarini, presso la metro Piscinola.
- 2005 – 2011. In questi anni, come sostengono gli autori del rapporto Segregare Costa, “gli interventi messi in atto per l’integrazione della comunità rom a Napoli sono (…) rivolti a soluzioni abitative con approccio esclusivo (su base etnica), ossia alla progettazione e/o costruzione di nuovi insediamenti o centri di accoglienza esclusivamente rivolti ad ospitare famiglie rom”.
- 2005. Viene inaugurata la seconda struttura abitativa del Comune di Napoli dedicata all’accoglienza della comunità rom: il Centro di Prima Accoglienza nell’ex scuola Grazia Deledda, a Soccavo (poi diventato Centro Comunale di Accoglienza e Supporto Territoriale). Il Centro serve sia a dare alloggio a diverse famiglie che vivevano in un insediamento informale nel quartiere Fuorigrotta, sia ad accogliere il flusso di arrivi dalla Romania.
- 2006. Grazie a una convenzione tra l’Assessorato alla Pace, all’Immigrazione ed alla Cooperazione Internazionale del Comune di Napoli e il Centro di ricerche sulle Tecniche Tradizionali in Area Mediterranea dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, vengono elaborate le Linee Guida per la realizzazione di insediamenti rom nella Provincia di Napoli.
- 2008. La sindaca Rosa Russo Jervolino elabora un primo progetto per l’area urbana di Cupa Perillo, a Scampia, che riprende la struttura del campo/container, simile a quello presente a Secondigliano: un’area dotata di prefabbricati per ospitare circa 800 persone. Diversamente dal caso di Secondigliano, però, questo nuovo progetto insiste su uno spazio già abitato dalle comunità rom da circa 30 anni. Bloccato nel 2009 per l’emersione di problemi sulla proprietà dell’area, il progetto viene rimodulato nel 2011 e viene anche inaugurato l’esperimento del Laboratorio Abitare Cupa Perillo, condotto tramite un processo di coinvolgimento attivo di persone rom e non rom, sia singoli che associazioni, con l’intenzione di riformulare la progettazione abitativa sulla base dei principi europei e delle migliori pratiche esistenti.
- 2014. Il sindaco Luigi de Magistris approva un progetto preliminare di riqualificazione per la realizzazione di un “Villaggio rom” sempre in località Cupa Perillo. La delibera prevede la realizzazione di strutture temporanee per ospitare 409 persone, la metà di quelle presenti all’epoca nell’insediamento, per circa 75 abitazioni su due livelli. Il progetto, però, condivide con il precedente la monoetnicità dell’insediamento, il carattere temporaneo, la localizzazione ai margini del tessuto urbano e l’assenza di un approccio integrato. Per questo motivo, diventa fin da subito oggetto di un contenzioso tra il Comune di Napoli e alcune associazioni locali e nazionali, che ne mettono in luce il carattere segregante e interpellarono a riguardo la Commissione Europea (che lo dichiara non in linea con le norme europee e ne blocca la realizzazione).
- 2017. La Giunta de Magistris inaugura un nuovo campo-container per circa 200 persone a via del Riposo, in prossimità del cimitero di Poggioreale (progetto aspramente condannato da Amnesty International, che lo considera una “violazione degli obblighi internazionali e regionali sui diritti umani”.
Allargando lo sguardo agli altri comuni della Città metropolitana di Napoli, le soluzioni adottate negli anni per fronteggiare l’emergenza abitativa delle comunità rom si sono rivelate affini a quelle del capoluogo: sgomberi senza soluzioni e/o costruzione di insediamenti formali.
- A Caivano, negli anni ‘90, l’Amministrazione locale ha realizzato un “campo nomadi” attrezzato in cui abitano ancora circa 80 persone. Ad oggi non risultano piani o progetti per il suo superamento.
- A Casoria, in località Cantariello, da circa 40 anni sorge un insediamento autocostruito ormai riconosciuto dalle autorità e dunque effettivamente formale. Non risultano al momento progetti concreti per il suo superamento.
- Ad Afragola, nel 2018, è stato realizzato l’ultimo insediamento per soli rom del Paese che ospita ad oggi circa 50 persone. Al momento, nonostante l’inserimento del campo nel Programma Triennale dei Lavori Pubblici 2022/2024 dell’amministrazione, non sembrano essere presenti effettivi progetti per il suo superamento.
- A Giugliano in Campania, in seguito al grande sgombero di un insediamento informale limitrofo alla zona ASI nel 2011, è stato inizialmente predisposto un villaggio attrezzato per l’accoglienza di 224 persone, mentre altre 400 si sono disperse e insediate nelle zone circostanti. Nel marzo 2013 l’Amministrazione Comunale ha istituito il campo rom di Masseria del Pozzo, dove sono state allocate 384 persone di cui 218 minori. Nel 2016, a seguito di una denuncia per violazione dei diritti umani, l’insediamento è stato sgomberato e alle famiglie è stata offerta come unica soluzione quella insediarsi in una ex fabbrica di fuochi d’artificio in località Ponte Riccio (proposta che Amnesty International ha definito «un’alternativa gravemente inadeguata»). Nello stesso anno, il Comune ha sottoscritto con la Regione Campania e la Prefettura di Napoli un protocollo d’intesa per la costruzione di un ecovillaggio per ospitare 260 persone, tornando però sui suoi passi due anni dopo.
Superare i campi rom a Napoli è possibile?
Negli ultimi anni, però, qualcosa sembra essere cambiato, almeno nelle intenzioni e nei buoni propositi. L’Amministrazione Regionale della Campania e quelle comunali della Città Metropolitana di Napoli, infatti, hanno presentato una serie di nuovi progetti per la comunità rom. Tra questi, spicca il Progetto Abramo, definito dalla Regione Campania “un percorso di integrazione abitativa, lavorativa e sociale delle popolazioni Rom, Sinti e Camminanti presenti sul territorio di Giugliano in Campania”. Il progetto, nato nel 2015, prevedeva lo stanziamento di 864.000 euro per garantire a 480 famiglie l’accesso ai diritti fondamentali, come abitazione, assistenza sanitaria e inclusione sociale. Fino ad oggi, però, i fondi del progetto sono stati utilizzati quasi esclusivamente per un progetto di scolarizzazione e di contrasto alla dispersione scolastica.
Come spesso purtroppo accade, un’apparente svolta si è potuta registrare dopo il verificarsi di una tragedia: il 13 gennaio 2024, Michelle, una bambina rom di 6 anni, è morta folgorata dalla corrente elettrica nel campo informale di via Carrafiello, a Giugliano. L’evento ha contribuito a riaprire le discussioni per il graduale superamento dei campi rom proprio attraverso i fondi disponibili del Progetto Abramo.
Su tali presupposti, nel marzo 2024 è stato pubblicato sul sito del Comune di Giugliano in Campania un Bando per l’assegnazione temporanea di immobili a nuclei familiari di etnia Rom, che prevede la messa a disposizione di sei immobili confiscati ad altrettanti nuclei familiari. Una soluzione che appare però estremamente parziale e temporanea rispetto alle reali necessità delle persone residenti nel campo di via Carrafiello.
La Giunta Comunale di Napoli ha a sua volta approvato il Piano per il superamento dell’insediamento Rom a viale della Resistenza, Scampia. Il progetto, il cui investimento totale è pari a oltre 8 milioni di euro, prevede la ristrutturazione di beni confiscati alla criminalità organizzata da riassegnare a nuclei familiari rom. parallelamente, si lavorerà anche sui progetti di autonomia delle famiglie.
In conclusione, però, è necessario sottolineare che, nonostante queste ultime progettualità facciano sperare nell’implementazione di percorsi di inclusione socio-abitativa almeno in qualche insediamento dell’area in analisi, ad oggi nessun campo rom della Città Metropolitana di Napoli è in effettivo superamento.
Scarica il report Figli dell’abbandono
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