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La pluriennale esperienza italiana dei campi rom/sinti dimostra come queste “riserve etniche”, oltre a produrre segregazione e marginalità sociale siano anche un dispositivo estremamente costoso e per nulla efficiente rispetto ad altre possibili strategie basate sull’inclusione e la costruzione di una società aperta.

I campi rom/sinti nascono come luoghi di “tutela culturale”, a causa dell’equivoco secondo cui rom e sinti sarebbero detentori di una tradizione fondata sul nomadismo, con il conseguente rifiuto di vivere in abitazioni convenzionali. In realtà l’assioma “rom/nomade”, anche se fatto proprio dall’immaginario collettivo, appare oggi totalmente infondato.

La maggioranza dei campi rom/sinti come oggi li conosciamo, nascono a partire dalla seconda metà degli anni ‘80, quando alcune Regioni italiane adottano leggi che portano all’istituzione del “sistema campi” come soluzione temporanea al crescente numero di rom in fuga dalla crisi balcanica culminata nel successivo conflitto. Tali spazi all’aperto finiranno presto per diventare dei “camping etnici” sparsi su tutto il territorio nazionale.

La stragrande maggioranza di rom e dei sinti vive in abitazioni convenzionali. Solo 13.300, erroneamente considerati come “nomadi”, vivono da decenni all’interno di spazi istituzionali concepiti su base etnica: campi rom/sinti, centri di raccolta, aree residenziali monoetniche. Circa 2500 in insediamenti informali.

L’Italia non è dotata di strumenti per identificare e censire i soggetti rom e sinti. Le stime ufficiali attualmente disponibili, anche se prive di fonti di supporto, parlano di circa 180.000 persone. Per quanto riguarda i soli individui residenti in insediamenti monoetnici organizzati dalle istituzioni, come riportato su questo sito, risulta una presenza di circa 13.300 individui. Ciò significherebbe che in Italia solo 1 rom/sinto su 13 vivrebbe in insediamenti monoetnici!

In lingua romanes la parola “rom” significa “uomo”. In Italia, le comunità riconducibili all’“universo rom e sinto” sono la risultante della stratificazione di diversi flussi migratori che hanno interessato il Paese a partire dal XV secolo. Nel nostro Paese si individuano 22 comunità ascrivibili a differenti momenti migratori, con diverse storie, tradizioni, dialetti.