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Viadotto della Magliana

Campi rom a Magliana (Roma): quanti sono e dove si trovano

Il quartiere della Magliana, nella periferia sud-ovest di Roma, è spesso raccontato attraverso stereotipi. Ma dietro l’etichetta resiste una realtà urbana complessa e stratificata, che include insediamenti formali e informali abitati da famiglie rom. Dal campo di via Candoni, tra i più estesi della Capitale, fino agli accampamenti lungo il Tevere e sotto il viadotto, la zona è attraversato da una geografia abitativa carica di criticità.

Il quartiere popolare della Magliana, situato nel quadrante sud-ovest della periferia di Roma, lungo la riva destra del fiume Tevere, è una di quelle zone la cui fama travalica i confini capitolini. Merito, in buona parte, della Banda della Magliana, un’organizzazione criminale romana, attiva tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’90, le cui gesta violente sono assurte a mitologia dannata, grazie a Romanzo Criminale, libro di successo di Giancarlo De Cataldo, divenuto un film e una serie televisiva. La rediviva notorietà della Banda è croce e delizia per un quartiere che fatica a scrollarsi di dosso quell’aura da cronaca nera. Nato e cresciuta a ridosso della ferrovia e dell’autostrada, a partire dagli anni ’50, cioè in un periodo di forte espansione urbana per Roma, la Magliana è a tutt’oggi scrigno di contraddizioni metropolitane. È un quartiere sufficientemente ben collegato alla città, tramite la ferrovia Roma-Lido e il cosiddetto viadotto della Magliana, uno dei principali assi viari della Capitale. Allo stesso tempo, però, pur trovandosi all’interno del perimetro del Grande Raccordo Anulare (l’autostrada che cinge la capitale ad anello), è uno di quei quartieri che sembra respingere Roma e che da Roma viene respinto. Un luogo “altro”, carico di problemi e al tempo stesso di vitalità. Tra le tante criticità che gli abitanti della Magliana sentono di vivere c’è anche quella della diffusione degli insediamenti rom nella zona, formali e informali. In particolare, nel quartiere Magliana c’è un’ampia baraccopoli formale, in via Candoni, e poi ci sono una serie di insediamenti informali, sparsi nella zona del viadotto, lungo le rive del Tevere.

Il “campo rom” di Via Candoni

La baraccopoli di via Candoni è uno degli insediamenti rom più noti e problematici della Capitale e forse uno degli esempi più evidenti di come le politiche che hanno portato alla segregazione su base etnica di migliaia di cittadini in strutture di questo tipo siano da considerarsi radicalmente fallimentari. Nato nel 1996, il campo ospita attualmente circa 540 residenti, appartenenti principalmente all’etnia rom. Si tratta di un insediamento formale, riconosciuto dalle istituzioni e classificato come baraccopoli, ovvero un campo attrezzato con strutture precarie. Fino al 2022 era il più grande campo rom d’Italia, con una popolazione residente di 795 persone. La diminuzione delle presenze è dovuta all’avvia di un progetto di superamento del campo, che dovrebbe portare alla sua chiusura entro il dicembre 2026, con conseguente ricollocazione di tutti gli abitanti in soluzioni abitative di tipo formale.

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Le “baraccopoli” sotto il Viadotto della Magliana

Diversa e forse ancora più problematica è la storia degli insediamenti informali che si trovano nei pressi del già citato Viadotto della Magliana, sotto le sue arcate e lungo le sponde del Tevere. Si tratta di baraccopoli di fortuna, spesso segnate da gravi criticità ambientali e sociali. In via del Cappellaccio, proprio sotto il ponte, sono presenti baracche sparse e piccoli accampamenti, circondati da cumuli di rifiuti ingombranti e materiali di scarto, come materassi, frigoriferi rotti e rottami metallici. I rischi di incendi e di inquinamento sono evidenti e molto marcati. Inoltre, la zona, in palese stato di abbandono, è soggetta a discariche abusive e roghi tossici, che generano allarme nella cittadinanza. Allo stesso modo, in via Asciano, poco distante, si registra la presenza di insediamenti abusivi simili, con strutture precarie alimentate da allacci elettrici di fortuna. Proprio qui, nel giugno 2024, un vasto incendio ha sprigionato una nube tossica che ha reso necessaria la chiusura del viadotto e l’evacuazione di alcune abitazioni. Questi accampamenti rappresentano uno degli esempi più estremi di marginalità urbana, dove l’assenza di servizi essenziali, l’esposizione al degrado ambientale e il vuoto di politiche strutturali si sommano in un quadro di esclusione e rischio permanente. Eppure, per chi ci vive, rappresentano l’unica opzione possibile e la continua minaccia di sgomberi forzati, senza la proposta di alternative concrete e dignitose, è percepita come l’ennesima forma di respingimento e rifiuto.

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