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Rom e Sinti in Italia: 8 domande per conoscerli meglio, lontano da stereotipi e pregiudizi

Quanti sono i rom e i sinti in Italia? Come e dove vivono? Che lavoro fanno? Di che nazionalità sono e da dove vengono? Queste e altre domande sui rom e sinti sono spesso la porta di accesso verso un dibattito pubblico fatto di stereotipi e pregiudizi. Conoscere davvero i rom italiani è necessario per superare queste barriere.  

Attorno ai rom e ai sinti, in Italia (ma non solo), ruotano da decenni pregiudizi duri a morire, alimentati da generalizzazioni, disinformazione e scelte politiche che spesso hanno favorito la segregazione piuttosto che l’inclusione. L’immaginario collettivo li dipinge ancora come stranieri, nomadi, disoccupati per scelta, incompatibili con la convivenza civile. Eppure, basta guardare i dati per capire quanto queste rappresentazioni siano distorte e parziali. La realtà è molto più articolata: la maggior parte dei rom e sinti in Italia è cittadina italiana, molti vivono in case come chiunque altro, lavorano, mandano i figli a scuola e chiedono semplicemente di poter esercitare i propri diritti senza discriminazioni. Solo una piccola parte della popolazione rom e sinta vive in condizioni di emergenza abitativa, e anche in quei casi le responsabilità non sono individuali, ma frutto di decenni di politiche inefficaci o segreganti. Per superare i luoghi comuni, serve un’informazione accurata, capace di distinguere i fatti dai miti. Questo articolo, attraverso otto domande essenziali, prova a fare chiarezza, offrendo uno sguardo documentato e concreto su una delle realtà più fraintese del nostro Paese.

Quanti sono i Rom e Sinti in Italia?

Fornire una stima precisa del numero di persone rom e sinte presenti in Italia è un’operazione complessa e incerta. Non esiste infatti un censimento ufficiale basato sull’etnia, e i dati disponibili provengono da indagini condotte da università, istituti di ricerca o realtà del Terzo Settore, ciascuna con metodologie differenti e limiti strutturali evidenti. Secondo la Strategia Nazionale per l’inclusione dei Rom, Sinti e Caminanti 2021-2030, il numero stimato di rom e sinti in Italia oscilla tra le 120.000 e le 150.000 persone, un dato leggermente più contenuto rispetto a quello proposto dal Consiglio d’Europa nel 2012, che indicava una forbice compresa tra 120.000 e 180.000. Queste cifre devono però essere lette con cautela: il dato etnico è sensibile e soggetto a variabili storiche, politiche e culturali. A seconda dei contesti, la tendenza può essere quella di sovrastimare la presenza per giustificare emergenze o ottenere finanziamenti, oppure sottostimarla per evidenziare l’efficacia di politiche repressive. Inoltre, le modalità di identificazione personale, in bilico tra orgoglio identitario, riservatezza e matrimoni misti, rendono ancor più difficile circoscrivere con esattezza chi debba essere considerato rom o sinto.

Parzialmente diverso, invece, è il discorso se di parla dei rom e dei sinti in emergenza abitativa (a cui i dati presenti in questo articolo fanno riferimento), presenti all’interno di insediamenti monoetnici formali o informali (i cosiddetti “campi rom”), dove è più semplice operare sopralluoghi e censimenti. Secondo le stime più recenti prodotto dall’Associazione 21 Luglio nel report Bagliori di speranza, in Italia, sono circa 11.100 rom e sinti che vivono in insediamenti monoetnici, tra baraccopoli formali (5.649 persone), macroaree (4.931) e insediamenti informali (circa 2.000). Queste persone sono proprio quelle identificate comunemente e genericamente come “rom” (o “zingari”, secondo un linguaggio offensivo e razzista), anche se in realtà rappresentano solo il 6% di tutti coloro che appartengono a questa etnia (prendendo per buona la più prudente delle stime di cui sopra).

Rome sinti sono cittadini italiani?

Sì, la maggior parte dei rom e sinti in Italia è cittadina italiana. Questa è una realtà spesso trascurata nel dibattito pubblico, dove la narrazione dominante tende ad associare automaticamente la presenza rom all’immigrazione o alla clandestinità.

Analizzando i dati disponibili relativi ai circa 10.500 rom e sinti che vivono in insediamenti formali emerge chiaramente che oltre i due terzi di loro possiede la cittadinanza italiana. La composizione stimata di queste comunità è la seguente:

  • italiani: circa 67%
  • provenienti dall’ex Jugoslavia: circa 32%
  • romeni: meno dell’1%

Queste cifre, pur parziali e riferite solo a una porzione della popolazione rom e sinta residente in Italia, offrono un dato significativo: la condizione di cittadinanza italiana non esclude l’esperienza della marginalità. Anzi, molti rom e sinti italiani vivono in condizioni abitative precarie o subiscono discriminazioni strutturali pur avendo pieni diritti civili e politici. Sfatano inoltre un luogo comune persistente: quello che riduce la questione rom a un presunto “problema straniero”, mentre si tratta in gran parte di una questione sociale, abitativa e culturale tutta interna al nostro Paese.

Che origini hanno i rom e i sinti che vivono in Italia?

L’universo rom e sinto in Italia è il risultato di una lunga stratificazione storica, fatta di flussi migratori distinti per epoca, origine geografica e modalità di arrivo. Non esiste una sola comunità rom o sinta, ma almeno 21 gruppi differenti, ciascuno con una propria storia, lingua, identità e livello di integrazione.

I rom italiani di antica migrazione sono presenti nel nostro Paese fin dal XV secolo. Arrivati via terra o via mare, si sono insediati in diverse regioni dando origine a cinque gruppi principali: abruzzesi, celentani, basalisk, pugliesi, calabresi. A questi si affiancano i sinti, storicamente presenti soprattutto nel Nord Italia. Sono suddivisi in nove macrogruppi: piemontesi, lombardi, mucini, emiliani, veneti, marchigiani, gàckanè, estrekhària, kranària.

A partire dal XX secolo si sono aggiunti i rom balcanici di recente immigrazione, molti dei quali giunti in Italia tra le due guerre mondiali o, più tardi, tra gli anni Sessanta e la fine degli anni Novanta. Tra questi si distinguono gruppi come: harvati, kalderasha, xoraxanè, sikhanè, arlija/shiptaira.

Infine, si registrano negli ultimi decenni anche i rom comunitari, in particolare rom rumeni e rom bulgari, giunti in Italia in seguito all’allargamento dell’Unione Europea.

Un caso a parte è rappresentato dai caminanti, una comunità originaria di Noto (Siracusa), a lungo considerata parte dell’universo rom. Nella Strategia Nazionale 2012–2020 erano inclusi in questo ambito, ma nella più recente Strategia 2021–2030 non vengono più formalmente considerati parte integrante della popolazione rom e sinta.

Dove si trovano i Rom e i Sinti in Italia?

I rom e i sinti sono presenti su tutto il territorio nazionale, ma con concentrazioni, condizioni abitative e composizioni etniche molto diverse a seconda delle aree geografiche. I dati raccolti sugli insediamenti formali offrono una fotografia utile, anche se parziale (perché riferita ai soli rom in emergenza abitativa), di questa distribuzione.

Nel Nord Italia vive il numero più consistente di rom e sinti censiti: oltre 5.000 persone, la maggior parte delle quali (più di 4.300) risiede in macroaree. Questi insediamenti, seppur monoetnici, sono spesso più strutturati e meno degradati rispetto alle baraccopoli. In questo contesto, la quasi totalità degli abitanti è di cittadinanza italiana. Le baraccopoli, in numero inferiore (9 totali), ospitano invece 746 persone, con una netta prevalenza di italiani (79%) e una quota di provenienti dall’ex Jugoslavia (21%). Alcune regioni, come Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Liguria e Trentino-Alto Adige, registrano solo macroaree; altre, come Lombardia, Piemonte e Veneto, presentano entrambe le tipologie.

Nel Centro Italia, la situazione è più mista. Gli insediamenti rilevati ospitano circa 2.700 rom e sinti, distribuiti tra baraccopoli (2.117 abitanti) e macroaree (590 abitanti). Qui la composizione etnica è più eterogenea. Il Lazio rappresenta un caso emblematico, con 1.826 persone residenti in baraccopoli e una presenza maggioritaria di cittadini originari dell’ex Jugoslavia (70%), affiancati da italiani (25%) e rumeni (5%). In Toscana, invece, la componente italiana è predominante (95%) e gli insediamenti risultano in condizioni generalmente più stabili.

Nel Sud Italia, i rom e i sinti vivono esclusivamente in baraccopoli, in totale 20, che ospitano 2.786 persone. Qui non esistono macroaree, e le condizioni abitative sono in genere più precarie. Anche la composizione etnica è più variegata: circa il 52% è italiano, il 42% proviene dall’ex Jugoslavia, e il 6% è rumeno (questi ultimi presenti solo in Puglia). Le regioni coinvolte sono Calabria, Campania, Puglia e Sardegna, con la Campania che da sola supera i 1.300 abitanti nei suoi insediamenti.

A livello regionale, le quattro realtà con la più alta concentrazione sono:

  • Lazio: 1.896 abitanti;
  • Lombardia: 1.714 abitanti;
  • Piemonte: 1.610 abitanti;
  • Campania: 1.381 abitanti.

Queste quattro regioni ospitano da sole oltre la metà dei rom e sinti presenti nei 102 insediamenti formali censiti in Italia. Un dato che evidenzia come il fenomeno sia tutt’altro che omogeneo e richieda politiche territoriali differenziate, capaci di tenere conto non solo della quantità, ma anche delle specifiche condizioni sociali e culturali di ciascun contesto.

La genesi dei “campi rom” in Italia

Qual è la città in cui vivono più rom e sinti?

Le più grandi baraccopoli formali sono concentrate nella Città Metropolitana di Napoli e a Roma. La Città Metropolitana di Napoli è quella nella quale è presente la più alta concentrazione di rom in emergenza abitativa.

Leggi l’approfondimento sui “campi rom” a Napoli

Come vivono i rom e i sinti in Italia?

Come detto, la quasi totalità dei rom e sinti presenti in Italia vivono in condizioni del tutto assimilabili a quelle di qualsiasi altro cittadino, quindi in abitazioni tradizionali. Ce ne sono poi circa 11.000 che vivono in insediamenti monoetnici, che nel tempo le istituzioni italiane hanno chiamato in diversi modi: campi nomadi, campi sosta, villaggi attrezzati, campi tollerati, aree di sosta, villaggi della solidarietà, e così via. Una confusione terminologica che riflette, spesso, un’assenza di visione chiara e inclusiva, e che in molti casi ha finito per mascherare un meccanismo di segregazione abitativa ed etnica. Si tratta infatti, nella maggior parte dei casi, di insediamenticollocati ai margini della città e progettati per concentrare le famiglie rom e sinte in spazi spesso privi di standard minimi abitativi. Gli insediamenti formali all’aperto, ovvero baraccopoli e macroaree, sono in totale 102, distribuiti in 75 comuni e 13 regioni italiane. A queste realtà si aggiungono le baraccopoli informali, non riconosciute ufficialmente dalle istituzioni, dove si stima vivano circa 2.000 rom, spesso in condizioni ancora più precarie. Inoltre, in Italia esistono 2 centri di accoglienza riservati esclusivamente a persone rom, nei Comuni di Latina e Napoli, dove si accolgono in totale 150 persone rom. Infine, la più grande area di edilizia residenziale pubblica monoetnica si trova nella Regione Calabria, nel Comune di Gioia Tauro.

Le baraccopoli, sia formali che informali, si caratterizzano per gravi criticità: aspettativa di vita inferiore di almeno 10 anni rispetto alla media italiana, scarsa igiene, precarietà abitativa e un’alta incidenza di minori (oltre il 55% dei residenti ha meno di 18 anni) in condizioni di deprivazione. Fortunatamente, le presenze in questi insediamenti sono ormai da diversi anni in calo, segno di come il superamento dei “campi rom” sia un processo non solo possibile ma addirittura irreversibile.

Leggi di più sul superamento dei campi rom

Che diritti hanno i Rom in Italia?

I rom e i sinti presenti in Italia, in quanto cittadini italiani o cittadini dell’Unione Europea o di Paesi terzi, godono sulla carta degli stessi diritti civili, politici e sociali di qualunque altro cittadino. Non esistono in Italia leggi specifiche che regolamentino lo “status” giuridico delle persone rom o sinte: ciò significa che, formalmente, non sono riconosciuti come minoranza nazionale o etnica, né sono destinatari di uno statuto speciale. La Costituzione italiana e le convenzioni internazionali ratificate dal nostro Paese (come la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e la Convenzione ONU contro la discriminazione razziale) vietano qualsiasi forma di discriminazione. Tuttavia, molti rom e sinti continuano a subire esclusione sociale e trattamenti discriminatori, spesso anche da parte delle istituzioni.

Le difficoltà più evidenti riguardano:

  • il diritto all’abitare, con molti rom confinati in insediamenti monoetnici, spesso in deroga agli standard abitativi;
  • il diritto all’istruzione, con alti tassi di dispersione scolastica e scarsa inclusione nei percorsi educativi;
  • il diritto alla salute, ostacolato da barriere burocratiche, condizioni igieniche critiche nei campi e limitato accesso alla prevenzione;
  • il diritto al lavoro, minato da pregiudizi, mancanza di formazione e frequente assenza di documenti regolari (soprattutto per chi è a rischio apolidia).

Che lavori fanno i rom e i sinti in Italia?

Parlare di lavoro tra i rom e i sinti in Italia significa fare i conti con una realtà complessa, spesso segnata da esclusione, precarietà e informalità. I motivi sono molteplici: il pregiudizio sociale, la bassa scolarizzazione, la marginalità abitativa, l’assenza di riconoscimento formale per alcune competenze, ma anche politiche pubbliche frammentarie e poco inclusive.

Non esiste una professione “tipica” dei rom e sinti. Storicamente alcune attività si sono tramandate di generazione in generazione: la vendita ambulante, la raccolta e riciclo di materiali (ferro, metalli, abiti usati), i lavori stagionali o artigianali, i mestieri dello spettacolo viaggiante o dell’intrattenimento. In molti casi si tratta di occupazioni svolte in forma autonoma e non contrattualizzata, spesso ai margini dell’economia formale. Oggi, però, queste attività tradizionali non sono più sufficienti né sostenibili, anche per via delle nuove normative, della concorrenza economica e dei mutamenti sociali. Questo ha acuito le difficoltà lavorative, portando una parte della popolazione rom e sinta a vivere in condizioni di disoccupazione cronica o sotto-occupazione. Secondo i dati più recenti, i tassi di occupazione nelle comunità rom sono molto più bassi della media nazionale, con una forte polarizzazione per genere: gli uomini sono più spesso coinvolti in lavori precari e manuali, mentre le donne sono frequentemente escluse dal mercato del lavoro, anche a causa di barriere culturali, familiari o istituzionali.

Esistono però esperienze virtuose, promosse da soggetti del terzo settore, che hanno accompagnato rom e sinti verso percorsi di formazione e inserimento lavorativo: come ad esempio in ambito agricolo, nei servizi ambientali, nella logistica, nell’assistenza alla persona o nella ristorazione. Ciò che emerge con chiarezza è che non mancano le competenze, ma le opportunità. Senza un intervento strutturale — che combini accesso alla casa, educazione, riconoscimento della cittadinanza e percorsi di empowerment — il diritto al lavoro per molte persone rom e sinte rischia di rimanere, nei fatti, ancora negato.

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