Superamento del campo rom di Asti (via Guerra 36), si chiude una storia di marginalità e diritti negati
Il 23 settembre è stato ufficialmente chiuso e superato il campo rom di via Guerra 36, per anni l’insediamento più grande e complesso di Asti. Nella fase finale, ci vivevano circa 90 persone, nella maggior parte minori, costrette in condizioni di estremo disagio: scarsa igiene, precarietà abitativa, diritti negati. Persone che sono state accompagnate verso soluzioni alloggiative tradizionali e che adesso vivono un nuovo inizio.
La città di Asti ospita alcune delle comunità rom e sinte più antiche del Piemonte, radicate in insediamenti storici. Questi luoghi, che nell’idea della pubblica amministrazione che li ha progettati sono nati per rispondere a esigenze abitative emergenziali, raccontano oggi una storia di marginalità e di diritti negati. Emblematico è stato, per anni, il caso di via Guerra 36, il più popoloso e il più problematico degli insediamenti astigiani. Un luogo con una storia che è importante conoscere, soprattutto per provare a immaginare un futuro senza campi. Il 23 settembre 2025, infatti, l’insediamento è stato ufficialmente chiuso, dopo un percorso triennale di superamento che ha permesso di ricollocare in soluzioni alloggiative tradizionali tutte le famiglie presenti.
Uno sguardo d’insieme sui campi rom e sinti di Asti
Sul territorio del Comune di Asti, fino al settembre 2025, c’erano tre storici insediamenti monoetnici:
- il campo di via Guerra 36 (periferia est), abitato da 145 rom originari dell’ex;
- il campo di via Guerra 27 (periferia est), abitato da cittadini di origine sinta;
- il campo di Vallarone (periferia ovest), dove risiedono su un terreno di proprietà cittadini di origine sinta.
L’insediamento di via Guerra 27 è nato nel 1991, come campo attrezzato formale, per decisione dell’Amministrazione Comunale di Asti. Si compone di container, case mobili, camper e roulotte e ci vivono 24 persone (secondo le rilevazioni più recenti), in condizioni igienico-sanitarie precarie. Adiacente a questa baraccopoli, c’è una struttura abitativa in muratura di proprietà del Comune di Asti, assegnata come abitazione di Edilizia Residenziale Pubblica a una famiglia “allargata” di rom di origine bosniaca, composta da 49 elementi (che in parte vivono in roulotte allestite nello spiazzo antistante).
L’insediamento di Vallarone, invece, sorge su uno spicchio di terra a forma triangolare lungo viale don Alfredo Bianco. Le unità abitative sono composte da container e roulotte e le 7 famiglie presenti (per un totale di 15 persone) dispongono dei servizi base.
Breve storia della baraccopoli di via Guerra 36
La baraccopoli di via Guerra 36 è stato per molto tempo il più grande campo rom attrezzato di Asti. Un insediamento formale di forma rettangolare, con una strada sterrata che ne percorreva l’intero perimetro e lungo la quale erano disposte, in forma allineata, numerose barriere di cemento. All’interno del campo, nel febbraio 2023, quando è iniziato il percorso verso il suo superamento, è stata registrata la presenza di 32 famiglie, per un totale di 145 persone (di cui 83 minori, il 57% del totale). Gli abitanti di via Guerra 36 vivevano all’interno di baracche, case mobili e roulotte.
La storia del campo parte da lontano, come in generale quella della presenza dei rom nel Comune di Asti. Tutto ha inizio nella seconda metà degli anni ‘80 con l’esodo forzato dalla Bosnia-Erzegovina, determinato dagli eventi che poi porterà alla disgregazione della Repubblica Jugoslava. In quegli anni, molte famiglie bosniache che vivono in abitazioni convenzionali di loro proprietà (distrutte o requisite) sceglono di fuggire in Italia.
Il nucleo storico, da cui ha origine la comunità attualmente residente in via Guerra 36, approda inizialmente in Sardegna, dove si sposta tra più località, in parte per motivi di lavoro, in parte a seguito degli sgomberi promossi dalle Amministrazioni Comunali. Per queste famiglie, quindi, il nomadismo non è un fenomeno culturale ma una condizione contingente.
A cavallo tra il 1990 e il 1991 queste famiglie rom arrivano nell’astigiano, in località Isolone, lungo il fiume Tanaro, su un terreno agricolo. La scelta deriva dalla volontà di avvicinarsi alla Bosnia-Erzegovina, nella speranza di poter un giorno fare ritorno nel Paese di origine.
Il processo di segregazione nei campi attrezzati di questo nucleo familiare inizia pochi anni dopo: nel 1996 viene effettuato il trasferimento nel già esistente insediamento di via Guerra 27 (abitato da sinti) e poi, nel 2004, si concretizza lo spostamento definitivo nel nuovo campo di via Guerra 36.
Il campo prima della chiusura: un luogo di degrado, abbandono e deprivazione (h2)
Nel settembre 2025, dopo 3 anni, è arrivata a compimento un’azione finalizzata al superamento del campo di via Guerra 36, a cui ha partecipato anche l’Associazione 21 Luglio. Un intervento necessario e urgente, visto lo stato di degrado assoluto in cui versava il campo. A cominciare dalle condizioni abitative a cui era costretto chi ci viveva. Nella baraccopoli erano disposte in forma non organizzata diverse strutture: 27 baracche abitate e 2 in disuso, 4 case mobili, 6 roulotte abitate e 8 ad uso magazzino 8° cui si aggiungono altre 4 strutture utilizzate come magazzini), 12 strutture adibite a bagni (di cui 3 non utilizzate), 6 tecnostrutture utilizzate per la copertura e 1 bagno chimico.

Le condizioni strutturali complessive dell’insediamento apparivano in pessimo stato. La strada, non asfaltata, era dissestata, instabile e non drenante. Alcune abitazioni erano collegate all’elettricità da una filiera di cavi non organizzata ed estremamente precaria. In altre, invece, l’energia elettrica era garantita da generatori di varie dimensioni e potenze. Ancora più irregolare la situazione dell’approvvigionamento idrico: alcune famiglie si erano allacciate autonomamente ad una delle fontanelle presenti nel campo, mentre altre non avevano acqua corrente a casa. E in ogni caso, si trattava di acqua non potabile. Infine, il riscaldamento avveniva per mezzo di stufe a legna. A causa della posizione isolata, poi, per gli abitanti del campo raggiungere i servizi essenziali risultava estremamente difficoltoso, soprattutto senza un mezzo di trasporto: l’ospedale più vicino distava quasi 6 km, il consultorio e gli uffici dei servizi sociali più di 4.
E se le case erano fatiscenti, l’orizzonte che le circondava non era messo meglio. Attorno alle abitazioni, c’erano cumuli di spazzatura, perlopiù pneumatici e scarti della raccolta di materiale ferroso o di lavorazioni edili. Inoltre, era frequente la fuoriuscita di liquame dall’impianto fognario, che provocava estesi allagamenti, ed era diffusa la presenza di topi. Una situazione che le stesse istituzioni non esitavano a definire “di gravissimo degrado igienico-sanitario.
Un luogo di diritti negati
Inevitabilmente, il degrado igienico sanitario di cui parlavano Prefetto e Sindaco di Asti, era spia di un più generale stato di sistematica negazione dei diritti fondamentali, come quello alla scuola, alla salute, alla sicurezza, al lavoro. Situazioni che vale la pena analizzare una alla volta.
Diritto all’istruzione e abbandono scolastico
Nel campo di via Guerra 36, al momento dell’avvio del progetto di superamento, erano presenti 35 bambini regolarmente iscritti a scuola (anno scolastico 2022/2023): 16 alla primaria e 19 alla secondaria di primo grado. Non c’erano invece adolescenti iscritti alla scuola secondaria di secondo grado così come non risultavano bambini che fruiscono dei servizi per l’infanzia (0-6 anni).

L’iscrizione, però, non era garanzia di effettivo godimento del diritto all’istruzione. I dati sulla frequenza, infatti, erano allarmanti. Tra gli iscritti alla scuola primaria, quelli che la frequentavano saltuariamente (fino a 2/3 dei giorni di assenza) erano quasi il 70%, mentre un altro 10% non si presentava praticamente mai. Un solo alunno era regolare.
Tra gli iscritti alla secondaria di primo grado il quadro non era molto diverso: in oltre il 70% dei casi la frequenza era saltuaria o completamente mancante (14 alunni, equamente divisi tra le due casistiche) mentre sono 4 (20% del totale) gli studenti che si recavano a scuola con assiduità.
Le ragioni della bassa frequenza erano molteplici ma comunque riconducibili o a forme di pregiudizio e discriminazione che i bambini rom subivano da parte dei compagni, o a difficoltà nel percorso scolastico. Infatti, le principali criticità riscontrate dagli insegnanti rispetto all’inserimento degli alunni rom erano la mancanza del materiale scolastico, la necessità di un percorso di apprendimento differenziato, la diffusa difficoltà cognitiva e di linguaggio, la difficoltà a organizzare colloqui individuali con gli insegnanti (anche per l’assenza di mediatori culturali).


Diritto alla salute
Le condizioni di esclusione sociale, marginalità e deprivazione materiale in cui versava la comunità rom del campo di via Guerra 36 si traducevano anche in una maggiore incidenza di stili di vita e comportamenti a rischio, riverberandosi sul diritto alla salute. All’interno dell’insediamento, si registrava infatti un’alta incidenza di determinate patologie e situazioni insalubri: diabete, cardiopatie su base ischemica, tabagismo femminile con conseguenti bronchiti croniche e potenziali tumori al polmone. Inoltre, l’alta frequenza di matrimoni fra consanguinei (tutti gli abitanti derivano da un unico ceppo familiare) innalzava il rischio di contrarre malattie come diabete e cardiopatie (oltre ad avere causato, in passato, un elevato numero di aborti spontanei). In generale, poi, tra le famiglie del campo, era scarsa l’attitudine alla prevenzione e alla promozione di una cultura della salute, con utilizzo inappropriato dei presidi e ricorso ai servizi per la sola emergenza-urgenza.
Vivere nell’insicurezza
Nell’immaginario collettivo e nel dibattito pubblico, la presenza della baraccopoli di via Guerra rimandava in primo luogo alle problematiche connesse ai roghi tossici, che hanno conosciuto un picco nell’estate del 2022, come conseguenza del mancato ritiro della spazzatura durante la pandemia da Covid-19. Successivamente a quella fase, si è proceduto a una bonifica dell’area e all’instaurazione di una vigilanza regolare, migliorando così la situazione.
Diritto al lavoro
Sempre secondo le rilevazioni effettuate nel 2023, la maggior parte degli adulti in età da lavoro presenti all’interno dell’insediamento svolgeva attività in forma autonoma. Solo uno degli abitanti aveva un contratto di lavoro a tempo indeterminato nel settore delle pulizie. A queste esperienze, si aggiungevano poi le forme di impego para-lavorativo, gestite dai servizi sociali, e alcuni programmi formativi erogati da soggetti privati.
Secondo gli esperti del settore, gli ambiti nei quali ad Asti si prospettano spazi lavorativi per i rom sono i seguenti:
- ristorazione (come lavapiatti e nelle pulizie);
- agricoltura stagionale;
- edilizia (come manovali);
- artigianato (a seguito di formazione per l’alta professionalità richiesta);
- commercio (come magazzinieri o cassieri).
Nel complesso, però, l’inserimento lavorativo dei rom è particolarmente complesso. Il pregiudizio, che scatta al solo sentire un cognome rom, è il deterrente più forte. Allo stesso tempo, i membri della comunità di via Guerra, a causa delle condizioni pessime in cui vivono, fanno difficoltà a mantenere nel tempo l’impegno lavorativo. Ci sono poi altri fattori di ostacolo: condizioni igienico-sanitarie di vita che pongono a rischio la presentabilità sul luogo del lavoro, l’assenza di un mezzo di trasporto autonomo, condizioni fisiche precarie, matrimoni contratti in giovane età e alto numero dei figli (per le donne).
Il superamento del campo di via Guerra 36
Come anticipato, dal 2023 al 2025, il campo di via Guerra 36 è stato protagonista di un piano di interventi finalizzato a permettere alle famiglie di uscire dall’insediamento e trovare una soluzione alloggiativa di tipo tradizionale. Il percorso ha seguito il modello Ma. Rea., ideato dall’Associazione 21 Luglio. Grazie al Piano di Azione Locale, redatto a seguito dell’articolate lavoro del gruppo di Azione Locale, un’equipe socioeducativa della Cooperativa Progetto A ha implementato le azioni previste con un lavoro volto alla regolarizzazione documentale, all’inclusione scolastica, all’accesso i servizi sociosanitari. Nel tempo, 51 persone hanno lasciato l’insediamento verso l’autonomia alloggiativa. A ottobre 2024 risultavano essere presenti 116 persone. Nelle settimane successive 7 nuclei, pari a 36 persone, hanno lasciato l’insediamento per inserirsi in alloggi di edilizia residenziale pubblica. Poi,nei primi mesi dell’anno 2025, la pianificazione di percorsi di fuoriuscita ha riguardato altri 7 nuclei, per un totale di 30 persone. Infine, nella primavera 2025 il lavoro si è concentrato sulle ultime 50 persone rimaste, quelle considerate più fragili e con meno mezzi a disposizione.
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